sabato 24 giugno 2017

Atletica italiana: l'illuminazione.


   Ieri, mentre ero a pranzo davanti a un magnifico lombo al forno con patate e piselli, ho avuto L'ILLUMINAZIONE.

   Ho improvvisamente capito cos'è la Fidal e l'atletica italiana: un sistema chiuso su sè stesso volto solo a mungere soldi (bruscolini!) al proprio interno, allo Stato e ai propri iscritti. E per fare ciò sono superflui i grandi risultati internazionali. 
   Ed ecco allora il preponderante "interesse" rivolto alle categorie giovanili (che però poi crescendo avvizziscono), ai campionati sociali, agli amatori-master. 
   Ed ecco quindi la frettolosità nel far performare i giovani, l'insufficienza nella visione degli sviluppi a lungo termine, l'indifferenza nei confronti dell'integrità fisica degli atleti, il focalizzarsi sull'uovo oggi invece che sulla gallina domani. 
   Ed ecco le roboanti lodi e osanne al campioncino allievo e ai suoi gestori, e il totale oblio del fatto che poi, giunto a maturazione, nella migliore della ipotesi (la peggiore è la totale scomparsa) questi si ritrova a vivacchiare su posizioni di rilievo solo nazionale o regionale. Dimenticare il fallimento, tanto poi qualche nuovo campioncino sbuca sempre fuori...

   Negli ultimi anni neanche più si sono visti quei punti di discontinuità (le rare medaglie alle manifestazioni globali) che salvavano baracca e burattini.

   Quindi giungiamo alla paradossale deduzione che rispetto al suo minimale obiettivo la gestione Fidal è efficiente.

   Altre federazioni invece sono sistemi aperti volti soprattutto a mungare soldi (tanti) agli sponsor, ma per fare ciò sono necessari i grandi risultati internazionali.
   Cavolo, parecchi SINGOLI atleti americani hanno un fatturato annuale dell'ordine di grandezza di quello della Fidal!

   Un'"impresa" con 200.000 "dipendenti" dovrebbe fatturare miliardi non milioni.



lunedì 12 giugno 2017

Fondo lento: la guerra dei cent'anni


   Allora, dopo oltre un mese di ferie rimettiamoci a lavurà...
   Mi scrive un mio atleta, ultralentista riguardo al fondo lento, il discorso si ricollega a quello dei precedenti 2 articoli:

"A proposito dei miei ultralenti . Leggevo questo post su Let's Run :

The simple truth is that it varies from athlete to athlete. You should just listen to your body. Sally Kipyego does her easy runs at 8'30 pace. Frank Shorter did his easy runs at 6'30-7'00 pace. Bernard Lagat does his easy runs 5'20-5'55, Rupp and Farah do their easy runs at 5'30-5'40 pace. Bill Rodgers did his runs at 6-7'30 pace and occasionally 9-10 pace, just depending on how he felt.
The takeaway? Find out what works best for you. If you feel too tired and if your workout quality is falling, slow down your runs.

Cosa ne pensi? I ritmi sono al miglio, ma parecchio lenti rispetto al loro ritmo gara, anche piu' di 2'"

   Risposta:

"Io sono abbastanza relativista, in atletica tutto è molto variabile, da valutare caso a caso, ci sono sempre eccezioni e le mie battaglie in genere sono contro gli assolutismi. E infatti non ti ho detto di modificare il ritmo dei tuoi lenti (circa RG10 + 120"). Però dico alcune cose:

- le eccezioni ci sono ma sono... eccezioni; Kipyego, Shorter, ora anche la Jepkosgei, sono eccezioni, la stragrande maggioranza si mantiene in una fascia RG10 + 60/80
- l'ultravelocismo (RG10 + 30/45) in media è più deleterio dell'ultralentismo, ma anche qui ci sono eccezioni
- l'ultralentismo di un campione è diverso da quello di un amatore di livello medio-basso; per il primo significa comunque correre a 4'/4'30, per il secondo magari 7/7'30... ovvero ci si avvicina alla camminata con conseguenti profonde e numerose differenze in termini di meccanica
- se si decide che può essere produttivo passare a un fondo lento più lento, non si dovrebbe forzare il corpo a tenere ritmi eccessivamente lenti magari sulla base di fantomatiche formulette (tipo percentuali di frequenza cardiaca su quella massima) che sono valide per una minoranza, come ho spiegato nei miei articoli etichetta "cardio"
- bisogna basarsi sulle sensazioni, cercare "facilità"; cosa a-scientifica ma in fin dei conti meno a-scientifica di qualunque altro parametro fisso; poi magari incrociare a posteriori i dati delle sensazioni con quelli del passo e della frequenza cardiaca, ma analizzando individualmente; insomma usare la RAGIONE senza impigrirsi su fantomatiche formule magiche
- a parità di "facilità" è meglio un passo più veloce rispetto a uno più lento; io ad esempio, con un RG10 di 4'30, trovo già ultrarilassante correre a 5'40, perchè mai dovrei forzare il mio corpo a gesti innaturali per correre a 6'30?
- se sta "facilità" è raggiunta solo a un passo ultralento, occorre chiedersi se ciò accade "per natura" (e allora va bene) o se per le caratteristiche del nostro correre (e allora va meno bene: troppe sedute intense? troppe gare? scarsi volumi? problemi meccanici?) o della nostra vita quotidiana (scarso recupero per motivi extra corsa? alimentazione sbagliata?)
- bisogna SPERIMENTARE (per un tempo sufficientemente lungo) e in finale il successo di una strategia individuale di allenamento lo decidono i risultati, in allenamento e soprattutto IN GARA."